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Divorzio – Entità Assegno – Convivenza Prematrimoniale

convivenza prematrimoniale

La suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza del 18 dicembre 2023, n. 35385, ha dato rilievo, nella determinazione dell’entità dell’assegno di mantenimento, al periodo di convivenza prematrimoniale della coppia, poi giunta, a seguito del matrimonio, al divorzio.

L’assegno di mantenimento viene riconosciuto, in caso di divorzio, al (ex) coniuge economicamente più debole in due casi:

  • se il coniuge più debole non ha i mezzi (e non è in grado di procurarseli per motivi non imputabili allo stesso) per mantenersi autonomamente in modo dignitoso (componente c.d. assistenziale dell’assegno);
  • se il coniuge più debole, pur avendone i mezzi, si trova, comunque, in una condizione economica deteriore rispetto all’altro coniuge per i sacrifici e le rinunce fatte nell’interesse della famiglia (componente c.d. compensativa perequativa dell’assegno)

In altri termini, l’assegno di divorzio viene riconosciuto, non solo quando il coniuge più debole non sia in grado di sostentarsi autonomamente, ma anche nell’ipotesi in cui, pur avendo risorse idonee e sufficienti a tal fine, comunque si trovi in una situazione economica-patrimoniale peggiore rispetto quella dell’altro, in ragione dei sacrifici e della rinunce alla propria vita lavorativa/professionale fatti  in funzione di una migliore e più agevole conduzione della vita familiare.

Si pensi all’ipotesi di un coniuge che abbia lasciato il lavoro full time, optando per un part-time, in accordo con l’altro coniuge, al fine di avere più tempo da dedicare alla cura della casa e alla crescita dei figli, consentendo in tal modo all’altro coniuge di dedicarsi maggiormente alla carriera e, quindi, di guadagnare di più.

In tal caso, nel determinare l’entità dell’assegno il Giudice terrà conto di questi sacrifici che verranno in parte compensati proprio attraverso l’assegno in parola.

Il carattere innovativo della sentenza in commento sta nella circostanza che la Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha ritenuto, che i sacrifici  compiuti nell’interesse comune della famiglia dal coniuge più debole cui spetta l’assegno – hanno rilievo, non solo se sono stati computi durante il periodo di vita matrimoniale vero e proprio, ma anche se sono stati fatti durante il periodo di convivenza prematrimoniale sfociata, poi, nel matrimonio.

Può invero capitare, riprendendo l’esempio prima fatto, che la scelta – concordata nella coppia – di optare, nell’interesse della famiglia, per il part-time, piuttosto che per, addirittura il licenziamento – sia stata presa, proprio durante il periodo del convivenza prematrimoniale.

Per cui ove venisse valutato unicamente il periodo post-matrimonio e non quello precedente della convivenza, potrebbe apparire che il coniuge, che quella rinuncia ha fatto, non si sia sobbarcato alcun sacrificio in nome della famiglia, poiché la rinuncia è stata fatta, per l’appunto, prima del matrimonio, con conseguente esclusione dell’assegno ove detto coniuge abbia comunque redditi propri con i quali si possa mantenere.

Ma ciò, ha ritenuto, la Corte, non sarebbe giusto, perché in tal modo i sacrifici fatti nell’interesse della famiglia non troverebbero debito ristoro.

Proprio per far fronte a questa ingiustizia, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha ritenuto che dette rinunce fatte dal coniuge più debole, anche se fatte prima del matrimonio vadano in ogni caso compensate, attraverso il riconoscimento di un assegno di mantenimento, anche se, si ripete, il coniuge più debole sia, comunque, in grado di mantenersi  autonomamente.

 

 

Perché la convivenza prematrimoniale sia rilevante ai fini della determinazione dell’entità dell’assegno divorzile è necessario che la stessa abbia il carattere della stabilità e continuità, e che già in questa fase prematrimoniale vi sia un progetto di vita comune, che prosegue con il matrimonio.

E’, cioè,  necessario che vi sia una continuità tra la fase di fatto dell’unione e la fase giuridica del vincolo matrimoniale della medesima unione e che il comportamento dei coniugi nella fase prematrimoniale e in quella coniugale, soprattutto con riguardo alle scelte comuni di organizzazione della vita familiare e riparto dei rispettivi ruoli, sia sostanzialmente il medesimo.

Quindi, la convivenza prematrimoniale rileva tutte le volte in cui durante la stessa  la coppia adotti delle scelte che poi vengono trasfuse e continuate nella vita matrimoniale, sempre che sia possibile provare (da parte del coniuge più debole) che il contributo dallo stesso dato  alla formazione del patrimonio familiare o dell’altro coniuge attraverso i propri sacrifici e le proprie rinunce, trovi la propria origine proprio nella convivenza, e cioè che sia tato durante la convivenza che sono state adottate di comune accordo quelle scelte che renderanno il futuro coniuge più “povero” per il bene della famiglia.

In tali casi, la scelta della coppia di contrarre matrimonio non può che essere intesa come volontà specifica di consolidare proprio quel progetto di vita familiare già attuato attraverso una convivenza caratterizzata da stabilità affettiva e dall’assunzione di reciproci obblighi di assistenza

Il Supremo Giudice ritiene pertanto, nella sentenza in commento, che in sede di divorzio occorre prendere in considerazione l’intera storia familiare, non solo, quindi, quella matrimoniale vera e propria, ma anche quella della precedente convivenza, al fine di stabilire  se ed in che misura il coniuge più debole per tutto questo lasso di tempo (convivenza + matrimonio) abbia contribuito, con le proprie rinunce e sacrifici alla vita familiare e come dette privazioni abbiano inciso sulla posizione economica di entrambi i coniugi.

Solo a seguito di detta valutazione sarà possibile per il Giudice di merito – in forza del principio della solidarietà, che caratterizza, non solo la vita matrimoniale ma anche quella post matrimoniale –  decidere se, ed in che entità, l’assegno divorzile debba essere riconosciuto al coniuge economicamente più debole.

 

Avv. Paola Martino

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